Il comportamento predatorio nel cane (Canis familiaris)

Il comportamento predatorio è un comportamento istintivo che fa parte dell’etogramma del cane domestico, ovvero del catalogo dei comportamenti normali che caratterizzano la specie.
Come tutti i comportamenti istintivi, nell’azione predatoria si può osservare una risposta diversificata del cane in rapporto ad uno stesso stimolo, in quanto la soglia di reazione dell’animale varia in rapporto alle condizioni ambientali e allo stato fisiologico del soggetto.
I comportamenti istintivi sono una forma di adattamento e corrispondono ai comportamenti caratteristici di una specie. Essi presentano due componenti principali:
    1. Comportamento appetitivo o di ricerca: componente variabile da un soggetto all’altro
    2. Azione finale: componente non variabile e geneticamente programmata

Il cane domestico (Canis familiaris) trae le sue origini dal lupo (Canis lupus) ed entrambi sono animali predatori. Essi trovano le loro prede cercandole direttamente e, dato che spendono la maggior parte del tempo in questa attività, essi mostrano i “pattern” comportamentali relativi al sistema investigativo più frequentemente di tutti gli altri sistemi (Scott e Fuller, 1975).
Il cane domestico utilizza ancora oggi le tecniche per non farsi notare dalle prede, ad esempio tenersi sopravvento e rotolarsi su carogne per dissimulare il proprio odore, scalciare per marcare il territorio con l’odore delle ghiandole interdigitali, marcare con l’urina o lasciare escrementi su sassi (Boitani, 2000).
I lupi sono cacciatori non specializzati che cacciano diverse tipologie di prede e si cibano di qualunque fonte di nutrimento disponibile (Scott e Fuller, 1975): la dieta del lupo è costituita da carne, ma anche da una quantità di vegetali quali erbe, frutti e da insetti. (Mech, 1970).
Prima di cominciare una battuta di caccia, i cani da caccia ingaggiano come i lupi un tipo di comportamento sociale molto simile. Murie (1944) ha descritto il rituale dei lupi come segue: “una considerevole cerimonia spesso precede la partenza per la caccia: in genere c’è una generale compartecipazione e molto scodinzolamento”. Per i cani da caccia, Estes e Goddard (1967) hanno descritto un comportamento simile: “gioco e caccia tendono a diventare progressivamente più selvaggi e ad attraversare un climax in cui i cani girano in tondo insieme e lanciano richiami all’unisono”. Dopo queste cerimonie di gruppo i membri escono alla ricerca della preda.
Il cane presenta diversi tipi di aggressività predatoria a seconda del tipo di preda che caccia. Per le prede di piccola taglia, la sequenza è considerevolmente costante da un soggetto all’altro: il cane salta a piedi uniti, verticalmente, orecchie dritte, pelo della regione dorso lombare eretto, e ricade con i due arti anteriori sulla preda. Il salto si ripete più volte, fino a quando la preda viene immobilizzata. Essa viene poi afferrata con le mascelle e scossa vigorosamente, provocandone la frattura del collo (Pageat, 1999).
Per le prede di grandi dimensioni, si osserva una caccia in gruppo, il cui svolgimento dipende dall’organizzazione gerarchica. La preda è identificata dopo una fase di ricerca, che determina la fuga della stessa. Tale fuga è il fattore che determina lo scatenamento del successivo comportamento predatorio nel cane. Una preda che resta immobile ha tutte le possibilità di essere ignorata. Dopo la fase di ricerca segue una corsa che mira a costringere la preda a fermarsi e ad affrontare i suoi inseguitori. Quando tale obiettivo è raggiunto, i cani mordono la preda, prevalentemente ai posteriori quindi uccisa con morsi diffusi e alla gola.
Rispetto alla tecnica predatoria nel lupo che è raffinata ed essenziale, nel cane domestico si osserva poca esperienza, dovuta in particolare a un mancato percorso di apprendimento, e azioni di natura istintiva. La tecnica è grossolana e disordinata, i morsi sono casuali e disseminati su tutto il corpo, imprecisi, tali da causare gravi lesioni lacere da scuotimento sulle masse muscolari; la scena dell’aggressione si presenta confusa con spargimento di peli e con un elevato numero di capi feriti (in caso di abbondanza di prede). Rispetto al parente selvatico, i cani quasi mai attaccano per fame e spesso non mangiano gli animali uccisi. Se consumano le prede, preferiscono le parti muscolari e spesso mangiano gli animali ancora vivi.
Il comportamento predatorio è un comportamento difficilmente sopprimibile, perché istintivo. L’educazione può in parte aiutare a migliorare la gestione ed interessa in particolare la componente variabile del comportamento istintivo, ma anche in questo caso non è possibile annullare il comportamento predatorio. Significherebbe agire contro natura, snaturare il cane, e questo non è possibile. Per questa ragione sono fondamentali la prevenzione, il controllo e la valutazione del contesto da parte del proprietario, ricordandosi che tale comportamento è favorito dalla stimolazione ambientale, dalla pulsione predatoria, ma può essere peggiorato da un deficit di socializzazione.
Con la selezione artificiale l’essere umano ha provocato delle modificazioni relative all’istinto predatorio nel Canis familiaris , in particolare differenze tra i gruppi di razze. Nei diversi contesti storici e geografici l’essere umano ha infatti selezionato il cane per renderlo utile nei diversi compiti (caccia, guardia, difesa, conduzione delle greggi ecc) scegliendo per la riproduzione quei soggetti che presentassero le caratteristiche morfologiche e comportamentali più adatte. Nell’ambito dell’istinto predatorio si osservano delle variazioni sia rispetto all’antenato selvatico che tra le diverse razze canine.
Le sequenze predatorie di cattura e consumo della preda che nel lupo si presentano complete (localizzazione, pedinamento silenzioso, inseguimento, morso per immobilizzare, morso per uccidere, smembramento e consumo) sono alterate e troncate a stadi differenti in diverse razze canine (Overall, 2001).
Nell’ambito dell’istinto predatorio si possono osservare delle differenze in base alla razza di appartenenza:
    • Cani da pastore e bovari: le razze “herding” sono state selezionate per troncare la naturale sequenza predatoria (Coppinger e Schneider,1995). Nei cani “pizzicatori” e nei bovari la sequenza predatoria è stata troncata a livello del morso per afferrare la preda (Andina, 2002). Si tratta di cani impiegati ancora oggi per il raggruppamento delle greggi che hanno subito una selezione per le sequenze riferite a fissare o inseguire la preda (Fox, 1978; Bradshaw & Brown, 1990; Overall, 2001). Nei bovari svizzeri, cani da fattoria tuttofare, usati come guardiani e per il traino dei carretti del latte, l’istinto predatorio sembra essere ridotto al minimo (Andina, 2002).
    • Cani da difesa e utilità: si tratta di un gruppo piuttosto eterogeneo che annovera cani di tipo bull (che in passato erano impiegati tanto nella caccia quanto nei combattimenti), razze da difesa, da guardia e molossi da soccorso (Terranova, S. Bernardo ecc). In generale i cani da guardia o da protezione hanno subito una selezione volta a far mostrare i comportamenti associati all’inibizione dell’uccisione e del frazionamento della preda, legate alla fase finale della sequenza predatoria (Overall, 2001), mentre le razze “guarding” sono state
selezionate per mostrare poco o niente affatto il comportamento predatorio (Coppinger e al, 1995).
    • Cani primitivi e spitz: in questo gruppo sono presenti le razze filogeneticamente più vicine al lupo (sia a livello morfologico che comportamentale). Scott e Fuller (1965) li ritengono le uniche razze in grado di sopravvivere ancora in ambiente naturale. Infatti sono il gruppo che, insieme ai cani da caccia, risulta essere più dotato di istinto predatorio.
    • I cani da caccia sono attualmente impiegati nell’attività venatoria sia in qualità di terragnoli (cani da tana, che affrontano il selvatico nei cunicoli) sia nelle prove di riporto, di punta, di ferma o di pista. I soggetti appartenenti a queste razze sono quindi selezionati per manifestare interesse nei confronti delle prede naturali e sono infatti il gruppo con l’istinto predatorio più marcato.
    • Cani da compagnia: in questo gruppo, selezionato per vivere attualmente a fianco dell’uomo in ambiente prettamente urbano, gli istinti primordiali sono controselezionati. Infatti essi conservano comportamenti infantili anche da adulti come la richiesta di attenzioni, la propensione al gioco e lo scarso istinto predatorio.
Ovviamente tutte queste differenze finiscono per mescolarsi profondamente quando si parla di incroci e di meticci.
Sebbene si osservino delle sostanziali differenze, le razze canine presentano comunque caratteristiche condivise selezionate dall’uomo da quando sono state domesticate, anche in funzione dell’ambiente e delle attività che hanno condiviso con la nostra specie. La selezione dell’uomo si è fatta particolarmente intensa a partire dall’età vittoriana, quando si diffuse la moda delle razze con ragioni prettamente estetiche, che ha portato alla differenziazione delle molteplici razze moderne dotate di standard morfologici anche molto dettagliati.
Ma quanto un comportamento può essere legato a fattori razziali? Secondo uno studio in grado di dimostrare una base genetica nel comportamento del cane, pubblicato sul server di pre-print bioRxiv, alcune regioni del DNA possono contribuire a modellare alcuni tratti comportamentali, ma esse non stabiliscono un’associazione causativa tale da determinare la presenza di quella specifica caratteristica comportamentale.
Nel cane come nell’uomo, le caratteristiche comportamentali sono caratteri con una base genetica complessa legata a numerosi geni, ma fortemente influenzata anche dall’ambiente e dalle esperienze che i soggetti hanno incontrato nella loro storia evolutiva e nel corso della loro vita. Tutto ciò ha contribuito allo sviluppo delle caratteristiche peculiari di ciascuna razza e di ciascun individuo all’interno di ognuna.
E tutto questo è bene sottolinearlo, in quanto sarebbe sbagliato generalizzare le basi genetiche e affermare, ad esempio, che una razza come l’American Pitbull terrier è aggressiva mentre il Labrador Retriever è buono. La distorsione che viene fatta troppo spesso è credere che le razze abbiano comportamenti specifici riconducibili solo alle basi genetiche. Questo non fa che alimentare solo pregiudizi su alcune razze e portare le persone a fare scelte sbagliate e a generalizzare.
Quando però il cane inizia ad attaccare persone o cose, o dà la caccia ad oggetti in movimento come biciclette e automobili, il comportamento predatorio diventa un problema e si è di fronte ad un disagio comportamentale. Di norma i cani con aggressività predatoria non danno segnali preliminari di avvertimento come il ringhio; ciò distingue questa tipologia dalle altre in cui invece è frequente la minaccia. Il suo trattamento è sicuramente difficile e richiede molto tempo e notevole impegno.

Dott.ssa Emmanuela Diana
Dottore Magistrale in Scienze Biologiche Spec. Biologia Animale
Consulente Etologa Zooantropologa di Etologia Consapevole®
Fondatrice del metodo Etologia Consapevole®
Bibliografia
Andina A. (2002): “Eredità e comportamento: differenziazione comportamentale del Canis familiaris nel corso della selezione dei diversi raggruppamenti razziali”-SISCA Observer- Anno 6 n°2:13-21
Boitani L. (2000): “Io sono il lupo” Intervista rilasciata per la rivista “Work dog” Ed. Cinque
Bradshaw J. e Brown S.L (1990): “Behavioral adaptation of do to domestication”- Pet, benefits and Practice- Ed Berger
Coppinger R., Shneider R. (1995): “Evolution of working dogs.” In “The domestic dog; its evolution, behaviour and interactions with people.” Cambridge University Press – London
Fox M.W. (1978): The dog: its domestication and behavior”.Garland STPM Press Estes R.D e Goddard J. (1967) : “Prey selection and hunting behaviour of the African wild dog”. J. Wildl. Mgmt. 31: 52–70.
MacLean E. L., Snyder-Mackler N., VonHoldt Bridgett M.,. Serpell J. A.: “ Highly Heritable and Functionally Relevant Breed Differences in Dog Behavior”- bioRxiv Jan. 1, 2019
Mech L.D (1970): “ The wolf. The ecology and behaviour af an endangered species”.Garden City- New Jersey- Natural History Press
Murie A. (1944): “Ecology of the coyote in Yellowstone”- Us National Park Servise Fauna Series 4: 1-206
Overall K. (2001): “La clinica comportamentale del cane e del gatto”-Ed Medico scientifiche
Pageat P. (1999): “ Pathologie du comportement cu chien”. Le point veterinaire Italie.
Scott J.P., Fuller J.L. (1965) “Genetics and the social behaviour of the dog.” The University of Chicago Press – Chicago.
Zuccarini R. (2012) “Valutazione dei segni e differenze predatorie tra Lupo e Cane”- Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva in collaborazione con Università degli Studi di Torino

Pubblicato anche su https://www.rifugiomiletta.org

I segnali calmanti o comportamenti di pacificazione


In tutte le specie sociali la comunicazione attraverso i rituali assume un ruolo determinante. La ritualizzazione di alcuni comportamenti permette una serie di vantaggi al singolo individuo ed al gruppo, come per esempio la risoluzione pacifica dei conflitti e la possibilità di raggiungere un obiettivo con il massimo rendimento impiegando il minimo sforzo. Se ogni situazione quotidiana portasse ad uno scontro fisico, alla fine i cani finirebbero per esaurire le loro energie e spenderebbero troppo tempo per curarsi le ferite e per guarire, mettendo a rischio inevitabilmente la sopravvivenza in primo luogo del singolo individuo, ma anche quella della specie intera.
Che cosa è un rituale? La parola rituale deriva dal latino rutalis che significa cerimonia, usanza. Il rituale è un comportamento o una sequenza di comportamenti che in ambito comunicativo hanno perso la loro funzione originaria, per acquisire nel tempo un significato diverso da quello strettamente funzionale. Si presentano come delle semplificazioni, delle esagerazioni, delle formalizzazioni di movimenti che normalmente compaiono in sequenze ripetute ritmicamente.

Nella comunicazione canina possiamo osservare dei comportamenti ritualizzati molto interessanti: i cosiddetti segnali calmanti o comportamenti di pacificazione. Sono moduli comportamentali che vengono utilizzati dal cane per:

1. inibire l’aggressività di uno o più interlocutori durante gli incontri ravvicinati fra cani
2. segnalare esibendo i segnali calmanti di essere in evidente stato di stress. e che ciò dipende dalla situazione che sta vivendo in quel momento.


Questi comportamenti di pacificazione erano originariamente comportamenti infantili, ovvero quelli che osserveremmo nei cuccioli durante l’interazione con gli adulti, che in ambito comunicativo sono stati evolutivamente ritualizzati dai cani adulti in messaggi il cui contenuto è inferiorità, sottomissione, amichevolezza e in parte paura.

Si tratta di comportamenti in parte innati, in quanto ogni cucciolo è in grado di esibirli durante l’interazione con altri cani, ma in età adulta la capacità di utilizzarli in modo competente e consapevole, e di essere in grado di saperli riconoscere negli altri cani, dipende certamente dall’esperienza che ogni cane matura nella sua crescita. Quindi ancora una volta è importante che ogni cane, durante il suo sviluppo, abbia l’opportunità di socializzare con i suoi simili per diventare
più competente nell’utilizzo di questi specifici segnali comunicativi che, come abbiamo detto, sono fondamentali per la risoluzione pacifica dei conflitti. E’ stato ampiamente osservato che i cuccioli iniziano a utilizzare i comportamenti di pacificazione già a partire dalla sesta settimana di vita, momento in cui i piccoli hanno le prime interazioni con gli adulti ed hanno quindi la necessità di appagarli e tranquillizzarli.

I segnali calmanti sono numerosi e alcuni di essi sono difficili da individuare da un osservatore umano non esperto. Vediamo insieme qualche esempio per imparare a prendere familiarità con questi segnali comunicativi che i cani utilizzano frequentemente anche nel dialogo non verbale con noi partner umani. Se imparassimo infatti a approfondire questi aspetti comunicativi dei nostri compagni cani, diventando attenti lettori, riusciremmo anche nella vita quotidiana a migliorare la qualità della relazione. Ogni relazione non a caso si basa su una buona comunicazione, e quando c’è dialogo, c’è equilibrio nel rapporto. Un cane che viene capito è un cane felice!

Avvicinamento non diretto

Sappiamo che quando l’avvicinamento tra due cani avviene frontalmente, i due cani si stanno sfidando. Per questa ragione l’approccio non frontale, ma laterale, è amichevole ed ha un significato calmante. Due cani che si vogliono conoscere, ma che non hanno intenzioni minacciose, procedono l’uno verso l’altro percorrendo un’ideale traiettoria curvilinea che alla fine di essa porta ogni cane ad approcciare l’altro lateralmente. Per evitare che la comunicazione venga influenzata in modo sbagliato dai proprietari durante la conduzione al guinzaglio, consiglio di osservare attentamente i cani e di seguire i movimenti laterali che essi compiono nell'avvicinamento reciproco, avendo l’accortezza di tenere il guinzaglio non teso e soprattutto di evitare che i due guinzagli di intreccino durante i movimenti. Quando due cani sconosciuti fanno conoscenza sono ovviamente tesi. Se per errore dovessero trovarsi legati stretti l’uno all'altro, ciò provocherebbe in essi una naturale risposta di difesa e quindi finirebbero per litigare. Per questa ragione i cani al guinzaglio dovranno sentirsi liberi di compiere tutti i movimenti previsti dal rituale di avvicinamento pacifico.

Muoversi lentamente

Quando due cani si incontrano per la prima volta, non si conoscono e la situazione è ovviamente di tensione. Nella fase iniziale di conoscenza, entrambi i cani tendono a muoversi molto lentamente.
La lentezza dei movimenti è prudenza, perché ognuno dei due cani è attento a cogliere nell’atteggiamento dell’altro cane informazioni utili per capire le sue intenzioni, concentrandosi al contempo sui propri movimenti allo scopo che questi siano chiari al suo interlocutore. Anche in
questo caso è opportuno che i proprietari abbiano cura di non forzare l’interazione fra i due cani, accelerando l’incontro o peggio ancora forzando l’avvicinamento. Procedendo lentamente i due cani prendono tempo per essere chiari nelle intenzioni pacifiche. In questo modo inoltre entrano
lentamente nelle quattro zone interpersonali dell’altro: zona aperta o pubblica, zona sociale, zona individuale e zona intima.
Osservando due cani che si avvicinano lentamente l’uno all’altro per conoscersi, dovremmo imparare ad approcciare allo stesso modo un cane che vogliamo conoscere. Quasi sempre invece siamo vittime della fretta di toccare e quindi violiamo la zona intima del cane, senza prima aver
chiarito le nostre intenzioni pacifiche e senza aver dato il tempo al cane di capire il nostro intento lasciandolo libero di scegliere se vuole o meno interagire con noi.

Ridurre le dimensioni

Tutti abbiamo in mente la tipica scena di un documentario di animali in cui due maschi si fronteggiano nel periodo riproduttivo per conquistare la femmina. Di qualsiasi specie si tratti, entrambi cercano di sembrare sempre più grandi e più grossi, sollevandosi, alzandosi sui posteriori, alzando il pelo sulla schiena, aprendo le ali ecc. Lo scopo è intimidire e minacciare l’avversario, facendo sfoggio della propria forza e delle proprie potenzialità fisiche.
Ebbene, se un cane nell’approccio con un altro cane volesse mostrarsi amichevole e per nulla minaccioso, tenderà a mostrarsi dimensionalmente più piccolo. Per questa ragione terrà una postura abbassata, accucciandosi o mettendosi a terra. E’ ciò che vediamo fare dai cuccioli nell’interazione di sottomissione con i cani adulti. Anche in questo caso sono i cani ad indicarci come iniziare un approccio corretto con loro. Da bipedi abbiamo a nostro sfavore il fatto di essere più alti rispetto ai cani. Per questa ragione negli approcci diretti con un cane veniamo percepiti
come più grandi e il messaggio che mandiamo potrebbe essere interpretato come minaccioso. Per questo motivo sarebbe indicato scegliere di abbassarci sulle gambe, accovacciandoci, proprio per chiarire al cane che abbiamo intenzioni amichevoli e per nulla aggressive.

Distogliere lo sguardo

Sappiamo bene che uno sguardo diretto ha un significato di sicurezza. Nelle interazioni con le altre persone chi parla guardando negli occhi viene considerato un soggetto sicuro e determinato.
Conosciamo altrettanto bene quella sensazione di disagio che proviamo quando qualcuno ci guarda in modo insistente, perché quel modo di guardare lo interpretiamo inconsciamente in modo corretto come minaccioso. Nel linguaggio canino lo sguardo fisso ha il medesimo significato, ovvero è collegato alla minaccia e all’aggressività. Pertanto chi ha invece intenzioni pacifiche e amichevoli, cercherà un approccio totalmente diverso e proverà in ogni modo di non sostenere lo sguardo dell’altro. I cani distolgono lo sguardo in modi diversi. Può essere un leggero spostamento della direzione dello sguardo o può avvenire attraverso lo sbattere ripetuto delle palpebre. In altri casi invece in cui un cane abbia la necessità che questo messaggio calmante sia chiaro all’altro, sceglierà un segnale più evidente ed allora volterà tutto il muso lateralmente.
Possiamo anche in questo caso utilizzare questo segnale per approcciare correttamente i cani che non conosciamo. Non li guarderemo direttamente negli occhi sostenendo lo sguardo, scegliendo così un approccio pacifico.

Sbadigliare

Sicuramente un cane stanco o annoiato sbadiglia, ma in ambito comunicativo lo sbadiglio può assumere il significato di segnale calmante. Infatti sbadigliare significa anche stress, soprattutto se il cane che sbadiglia inizia a farlo ripetutamente in un contesto in cui si trova ad interagire con uno o più cani. I cani utilizzano lo sbadiglio anche nell’interazione con noi, quando ad esempio li sgridiamo o insistiamo in una richiesta che loro non capiscono.

Leccare o leccarsi le labbra

Questo segnale calmante si propone come un rapido movimento della lingua su labbra e naso, tanto veloce che a volte per noi risulta difficile da percepire. Questo segnale può presentarsi quando i due cani sono a distanza, e in questo caso il cane che segnala le intenzioni amichevoli si

leccherà le labbra e il naso. Se invece i due cani hanno già iniziato un’interazione e hanno avuto un contatto fisico, il cane che vuole pacificare inizierà a leccare le labbra dell’altro.

Grattarsi

Se durante un’interazione tra due cani uno dei due comincia a grattarsi, mette in atto un comportamento di sostituzione il cui scopo comunicativo è quello di distrarre il suo interlocutore perché l’atmosfera dell’interazione è tesa. Fingendo infatti totale indifferenza per ciò che sta accadendo, il cane che si gratta sdrammatizza in modo efficace la situazione.

Inchino giocoso

Siamo abituati a vedere il cane accucciarsi sulle zampe anteriori stendendo quelle posteriori e tenendo alti coda e posteriore insieme, all’inizio di una sessione di gioco. Questo segnale infatti viene tipicamente utilizzato nei contesti ludici. Esso però è anche un segnale calmante e viene

utilizzato dai cani per interrompere la tensione durante l’incontro ravvicinato con altri cani in un contesto più serio. Viene utilizzato come una pausa, una punteggiatura che ha lo scopo di comunicare che tutte le azioni che seguono quell’inchino non devono essere prese troppo seriamente.

Dott.ssa Emmanuela Diana
Dottore Magistrale in Scienze Biologiche Spec. Biologia Animale
Consulente Etologa Zooantropologa di Etologia Consapevole®
Fondatrice del metodo Etologia Consapevole®
Pubblicato anche su https://www.vitadacani.org/

Razze pericolose: realtà o discriminazione?


Ancora una volta mi trovo a parlare dell’argomento razze pericolose. Pensavo che ormai si trattasse di una questione superata dopo l’ordinanza ministeriale del sottosegretario di Stato Martini, che prevedeva la cancellazione della famosa “black list”. Invece il comune di Milano ha recentemente proposto e approvato un provvedimento nel quale nuovamente si parla di razze pericolose. Per questa ragione vorrei di nuovo fare chiarezza riguardo a tale argomento, per comprendere se si tratta di realtà o invece di una effettiva discriminazione priva di alcun fondamento scientifico.
Come ogni essere vivente anche il cane possiede delle precise caratteristiche fisiche e comportamentali che primariamente dipendono dal proprio bagaglio genetico. L’espressione di queste caratteristiche subisce l’influenza da parte dell’ambiente in cui l’animale vive, interagisce, apprende e fa esperienza. Per gli animali selvatici è la selezione naturale che agisce sul patrimonio genetico, mentre per le specie domestiche è la selezione artificiale. Ed è proprio attraverso la selezione artificiale che l’essere umano ha domesticato il lupo selvatico in cane, e nel tempo ha via via creato tutte le razze che oggi conosciamo. Nel caso della selezione naturale, per le specie selvatiche, sono state favorite quelle qualità, fisiche e comportamentali, che sono il più possibile compatibili con la sopravvivenza dell’individuo, e quindi della specie, in natura. Con la selezione artificiale è stato l’essere umano a scegliere quelle caratteristiche che potessero soddisfare le esigenze dell’uomo e soprattutto che, all’inizio del processo di domesticazione, rendessero possibile la convivenza con la specie umana. Se inizialmente le caratteristiche selezionate erano prevalentemente mirate all’utilità che potevano avere i primi cani, come ad esempio la caccia o la guardia,successivamente si sono anche favoriti caratteri estetici. Nella trasformazione genetica del lupo in cane si sono espressi caratteri neotenici (infantili) sia dal punto di vista morfologico, relativo cioè all’aspetto esteriore nel suo complesso, sia dal punto di vista comportamentale. Ciò significa che i nostri cani hanno molte più caratteristiche in comune con un lupo cucciolo o di giovane età che non con un lupo adulto. I nostri cani infatti non perdono mai la voglia di giocare anche quando diventano adulti e invecchiano. Questa è una caratteristica neotenica che differenzia il cane domestico dal lupo, il quale invece in età adulta gioca molto raramente. È la neotenia ad aver determinato la dipendenza del cane dall’essere umano, che agli occhi di ogni cane costituisce la figura di accudimento e verso la quale riserva comportamenti et-epimeletici (relativi alla richiesta di accudimento). Per questa ragione il proprietario di ogni cane è responsabile della crescita equilibrata e della gestione corretta del proprio compagno a quattro zampe.
Emmanuela Diana - razze pericolose
Gli studiosi Lorna e Raymond Coppinger nel 1982 hanno proposto una classificazione neotenica delle razze canine nella quale ad ogni stadio ontogenetico (l’ontogenesi corrisponde allo sviluppo dell’individuo dallo stadio embrionale fino a quello dell’adulto) del lupo venivano associate precise razze canine, attribuendo determinate attitudini e caratteristiche comportamentali.
Nonostante questa teoria neotenica permetta in linea di massima di poter fare una buona previsione riguardo le attitudini comportamentali di un cane per il fatto che appartiene ad una determinata razza, essa comunque rimane profondamente subordinata al bagaglio esperienziale individuale di ciascun soggetto. Le caratteristiche genetiche comportamentali sono in altre parole in grado di definire i limiti entro cui possono essere espressi determinati caratteri comportamentali, ma l’espressione e la modulazione di tali caratteri dipende comunque dall’esperienza. Per chiarire con un esempio: pur lavorando sull’esperienza è molto difficile che un qualsiasi molosso diventi un conduttore migliore di un Border Collie!
Gli studi nel campo delle scienze comportamentali hanno dimostrato che, nel cane come nell’uomo, le caratteristiche comportamentali sono caratteri con una base genetica complessa legata a numerosi geni, ma fortemente influenzata dall’ambiente e dalle esperienze che i soggetti hanno incontrato nella loro storia evolutiva e nel corso della loro vita. Tutto ciò ha contribuito allo sviluppo delle caratteristiche peculiari di ciascuna razza e di ciascun individuo all’interno di ognuna. È pertanto sbagliato generalizzare le basi genetiche e affermare, ad esempio, che una razza come l’American Pitbull Terrier è aggressiva mentre il Labrador Retriever è buono, in quanto non esistono evidenze scientifiche che documentino questa affermazione. Si tratta quindi solamente di una distorsione credere che le razze abbiano comportamenti specifici riconducibili solo alle basi genetiche. Questo non fa che alimentare solo pregiudizi su alcune razze e portare le persone a fare scelte sbagliate e a generalizzare.
Noi tutti siamo frutto delle esperienze che abbiamo vissuto e ciò vale anche per i nostri cani! È ampiamente dimostrato e documentato (Pageat, 1998) che traumi o carenze riferibili ai periodi sensibili dello sviluppo del cane hanno enorme rilevanza nell’insorgenza di diverse problematiche di comportamento riferibili all’età giovanile ed adulta. Pertanto quando un cane mostra un problema di comportamento, è perché non ha avuto la possibilità di fare le giuste esperienze durante la sua crescita o viceversa ha avuto esperienze traumatizzanti. E questo vale per qualsiasi cane, sia esso un Rottweiler o un Chihuahua!
Oggi si parla di epigenetica comportamentale. L’epigenetica si occupa di quelle modificazioni ereditabili che variano l’espressione genica pur non alterando la sequenza del DNA, ovvero cambiamenti che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo. Una nuova prova che l’ambiente – inteso in questo caso come esperienza – lascia il segno nell’espressione del DNA dei cani. La neuroplasticità è un concetto che è stato accettato e condiviso dalla comunità scientifica meno di due decenni fa ed ha decretato una svolta all’interno del paradigma dualistico mente/corpo, perché ha dimostrato come l’aspetto psicologico ed educativo possa determinare un cambiamento strutturale e funzionale nelle cellule nervose (neuroni) che compongono il sistema nervoso anche in quelle aree che dirigono e governano i comportamenti. È quello che accade ai cuccioli che vengono separati precocemente dalla mamma. Il distacco dalla madre e l’assenza del sostegno materno nella prima infanzia può avere numerose conseguenze fisiologiche e comportamentali nella crescita del cucciolo, che possono contribuire allo sviluppo di problematiche comportamentali e relazionali nel corso della vita.
Questo per sottolineare che qualsiasi cane, anche se appartiene geneticamente ad una specifica razza (genotipo), attraverso un’esperienza corretta può sviluppare comportamenti corretti ed equilibrati (fenotipo) e che addirittura questa esperienza sia in grado di influenzare l’espressione del DNA.
In quest’ottica parlare di Razze pericolose è totalmente anacronistico. È pericoloso piuttosto insistere a discriminare alcune razze di cani semplicemente sul concetto di pericolosità potenziale. Tutti i proprietari dei cani dovrebbero diventare consapevoli di ciò che significa crescere e vivere con un cane di qualsiasi razza esso sia. Per cui sarebbe auspicabile che tutti i proprietari dei cani seguissero un corso di base e, solamente nel caso in cui vengano riscontrati problemi comportamentali o di gestione, siano successivamente proposti dei corsi avanzati.

Dott.ssa Emmanuela Diana
Dottore Magistrale in Scienze Biologiche Spec. Biologia Animale
Consulente Etologa Zooantropologa di Etologia Consapevole®
Fondatrice del metodo Etologia Consapevole®
Pubblicato anche sul sito https://www.vitadacani.org/

LA COMUNICAZIONE


E' la base fondamentale della relazione che si instaura con i nostri animali di affezione ed è anche il principio base durante la loro socializzazione. Conoscerne l'importanza ed il valore aiuta i nostri amici a quattro zampe a migliorare la loro vita sociale e relazionale.
[ETOLOGIA CONSAPEVOLE]


Secondo la visione di Etologia Consapevole, l'animale diventa soggetto, non più oggetto, all'interno della relazione, una relazione dialogica e dinamica nella quale l'animale è ben lontano dall'essere una macchina che risponde a processi meccanici di stimolo-risposta, ma come un'entità complessa, una ragnatela di emozioni nel rapporto dialogico con l'uomo.
Il modello pratico Etologia Consapevole trova la sua applicazione in ambito terapeutico e in quello formativo-educativo del cane e del gatto. Esso dà rilevanza alle esperienze vissute e alle caratteristiche cognitive e il mondo interiore, emotivo dell'animale.

Un approccio olistico in cui all'animale, in quanto individuo, essere che pensa e prova emozioni, si riconosce l'esigenza di operare su più livelli per raggiungere uno stato di reale benessere. Ogni sua "parte" è correlata alle altre e tutte si influenzano reciprocamente.